Quando si parla di protezione della propria salute, quasi sempre si ragiona subito in termini di polizza infortuni e/o polizza sanitaria.
Dimenticandosi però di ciò che andrebbe fatto a monte.
Prima di parlare di premio e franchigie, massimali e cliniche convenzionate, bisognerebbe soffermarsi sul capire il quadro di riferimento, per avere ben chiaro cosa offre lo Stato in termini di protezione e cosa andrebbe integrato tramite le polizze assicurative.
Sai ad esempio a quanto ammonterebbe la tua pensione di invalidità in caso di infortunio o malattia? Sai cosa cambia tra infortunio sul lavoro e nella vita privata?
Sai quale sarebbe la rendita ai superstiti se morissi? A chi andrebbe? Con quali limiti e vincoli?
Prima di comprare un qualsiasi prodotto devi conoscere la risposta a tutte queste domande.
Proviamo a fare chiarezza.
La legge dice che ogni cittadino italiano, tra i 18 e i 67 anni di età, ha diritto ad un assegno mensile di assistenza se gli viene riconosciuta un’invalidità, da infortunio o malattia, tra il 74% ed il 99%.
L’importo dell’assegno viene aggiornato di anno in anno per stare al passo con l’inflazione. Nel 2024 è di 333,33€ netti al mese. Sempre che il richiedente non abbia un reddito personale superiore a 5.725,46€. Al raggiungimento dell’età pensionabile quell’assegno si trasforma in assegno sociale, che nel 2024 è pari a 534,41€.
Se l’invalidità raggiunge il 100% si ha diritto alla pensione di inabilità agli invalidi civili, sempre di importo pari a 333,33€ al mese ma con limite di reddito di 19.461,12€ annui. In alcuni casi sono previste delle ulteriori indennità. Ad esempio 531,79€ per gli invalidi civili totali oppure l’indennità di accompagnamento di 978,50€ al mese per i ciechi totali. Anche in questo caso, al raggiungimento dell’età pensionabile la pensione di inabilità si trasforma in assegno sociale.
Situazione diversa per i cittadini che abbiano già iniziato a lavorare e a cui venga riscontrata un’invalidità compresa tra il 66,7% ed il 99%.
Loro hanno diritto all’assegno ordinario di invalidità per persone con capacità lavorativa ridotta, a patto di aver versato almeno 5 anni di contributi, di cui almeno 3 nel quinquennio che precede l’invalidità.
L’ammontare dell’assegno è pari al totale dei contributi versati nel corso degli anni, rivalutati in base all’andamento del PIL, moltiplicati per 4,27%, numero che rappresenta il coefficiente di trasformazione pensionistico relativo ai 57 anni di età.
Ad esempio un lavoratore dipendente con stipendio di 30.000€ annui avrebbe diritto ad un assegno di poco meno di 600€ al mese. Lordi. Professionisti, artigiani, commercianti, lavoratori appartenenti alle casse professionali, avendo tutti un’aliquota contributiva più bassa dei dipendenti, avrebbero delle pensioni nettamente più basse a parità di età e invalidità. Pochissimi soldi, in considerazione del fatto che un’invalidità di almeno il 66,7% verosimilmente impedisce al soggetto di continuare a lavorare e ad avere un reddito.
Andrebbe un pò meglio, se così si può dire, se l’invalidità fosse del 100% perchè in quel caso l’INPS “regalerebbe” i contributi figurativi che il lavoratore avrebbe versato dal momento dell’invalidità fino al compimento dei 60 anni, e quindi il montante da cui calcolare l’assegno sarebbe più alto.
Spesso le persone non conoscono o sottovalutano questi numeri. Soprattutto i lavoratori dipendenti, convinti di essere iper tutelati, soprattutto in caso di infortunio sul lavoro.
Vediamo però cosa dice la legge a riguardo.
L’INAIL interviene solo se l’infortunio o la malattia hanno come conseguenze un’invalidità permanente pari almeno al 6%, o la morte.
In caso di invalidità compresa tra il 6% ed il 15% con un indennizzo una tantum, compreso tra circa 4.000€ e circa 40.000€, in base ad età e grado di invalidità accertato. Più giovane è l’invalido e più grave l’invalidità, più alto sarà l’indennizzo.
Se l’invalidità supera il 16%, al lavoratore spetta una rendita data dalla somma del danno biologico più il danno patrimoniale. Il danno biologico è stabilito anch’esso da un’apposita tabella ministeriale e varia tra circa 1.300€ e circa 18.000€ annui in base alla gravità dell’invalidità. Non tiene in nessun conto la retribuzione percepita dal soggetto. Nè del fatto che possa essere l’unico portatore di reddito in famiglia o della composizione della famiglia. La quota relativa al danno patrimoniale è invece commisurata al grado di invalidità accertato e ad una percentuale della retribuzione percepita, calcolata sulla base dei coefficienti indicati in un’apposita tabella.
Ad esempio, per un lavoratore con retribuzione annua di 20.000€ e invalidità del 50%, la rendita sarebbe di circa 15.000€ annui. Sembrano tanti soldi ma invalidità del 50% significa avere una salute fortemente compromessa o perdere la funzionalità di parte di un arto.
Alcuni lavoratori sono tutelati in maniera addirittura più limitata. Penso ai vigili del fuoco, che non sono coperti dall’INAIL, o alle casalinghe. Quest’ultime, pur pagando l’assicurazione, hanno diritto solo ad una rendita vitalizia, di importo compreso tra circa 113€ al mese e circa 1.454€ al mese, per invalidità comprese tra il 16% ed il 100%. Per invalidità comprese tra il 5% ed il 15% è previsto invece un contributo una tantum di circa 340€.
E in caso di morte?
Se il deceduto era un pensionato, agli aventi diritto spetterà la pensione di reversibilità. Se era un lavoratore spetterà invece la pensione indiretta. In entrambi i casi, in linea di massima beneficiari sono il coniuge, cui spetta tendenzialmente il 60%, ed i figli, cui spetta il 20% ciascuno. Vanno verificati poi l’età dei figli, l’eventuale invalidità/inabilità e soprattutto la presenza in capo ai superstiti di redditi propri, che potrebbero portare alla riduzione della pensione di reversibilità.
La differenza principale tra i due casi è che quando muore un lavoratore, la pensione indiretta viene erogata solo se il deceduto aveva versato almeno 15 anni di contributi, altrimenti la pensione viene sostituita da un importo una tantum.
La morte sul lavoro di un assicurato INAIL, dà diritto invece ad una prestazione diversa perchè la rendita ai superstiti è calcolata utilizzando come riferimento la retribuzione convenzionale massima del settore industria, che è di circa 36.000€. Pertanto al coniuge spetteranno poco più di 21.000€ annui e ai figli circa 7.000€ ciascuno. A prescindere dalla reale retribuzione del deceduto. Magari i superstiti si aspettano un trattamento migliore ma anche se il defunto avesse guadagnato 100.000€ annui, al coniuge spetterebbero solo 21.00€ circa.
Questo è uno dei tanti casi in cui le persone pensano di essere ben tutelate dallo Stato ma poi si scontrano con la realtà dei fatti, che li riporta alla cruda realtà, fatta di un brusco calo delle entrate famigliari.
Un evento imprevisto come una morte, un’invalidità o una non autosufficienza possono avere un impatto devastante sulle famiglie e decretarne la morte finanziaria. Forse va anche peggio per i single, per le persone senza figli o senza una famiglia alle spalle. Dovranno contare solo sui miseri aiuti e sostegni pubblici e sui propri soldi. E quando saranno finiti?
Gli unici che non avranno problemi saranno coloro che si saranno assicurati. Proprio per questo consiglio a tutti, anche a te, di fare un vero e proprio checkup assicurativo che, sfruttando la mia mappa dei rischi a 360°, ti renda consapevole di quanti soldi avresti bisogno in caso di invalidità o morte per sopperire alle minori entrate o per non lasciare i superstiti in difficoltà economica senza di te.
Solo dopo potremo costruire assieme il tuo piano assicurativo personalizzato, parlare di polizze e inserire i massimali corretti.
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